il documento

Cari Fratelli e Sorelle, Cristiani e Musulmani, d’Oriente e d’Occidente,

abbiamo letto con beneficio spirituale e grande interesse la Dichiarazione sulla Fratellanza presentata il 4 febbraio ad Abu Dhabi da Papa Francesco e Shaykh Ahmad al-Tayyeb.

Ringraziamo il grande imam di al-Azhar e l’autorità spirituale della Chiesa Cattolica per questa nobile iniziativa e per rappresentare insieme un importante modello di concreta e rispettosa fratellanza.
In questi anni recenti abbiamo affrontato e reagito a numerosi episodi di manipolazione violenta della religione abusata come strumento di odio e potere e non come via di giustizia, amore e conoscenza.

Con questa intenzione, desideriamo non solo aderire al richiamo della Dichiarazione di Abu Dhabi ma promuovere un commento e un coordinamento internazionale di scambio e collaborazione tra cristiani e musulmani.

Il testo del nostro commento vuole essere una testimonianza di un dialogo che onori e aggiorni il patrimonio spirituale e intellettuale dei maestri cristiani e musulmani come interpreti illuminati di una fede nel Dio Unico e come generosi custodi, educatori e servitori del Bene comune. Il riconoscimento del sacro, della spiritualità e del simbolismo delle profondità dottrinali e delle rispettive adorazioni rituali merita di essere conosciuto come un valore universale che ha qualificato la vita, la storia e la cultura dei popoli senza ostentazioni, artifici apologetici o formalismi.

Percorsi di formazione alla conoscenza reciproca saranno oggetto di una collaborazione regionale e tematica, unendo la comprensione delle fonti delle religioni con lo sviluppo del contesto sociale contemporaneo.
Questo lavoro potrà beneficiare del coinvolgimento di varie e prestigiose Istituzioni Internazionali Islamiche e Cristiane.

Per facilitare questo coordinamento abbiamo il piacere di lanciare una piattaforma di comunicazione nella quale possano essere presentati progetti o ricerche di lavoro, conoscenza e collaborazione tra cristiani e musulmani nel mondo che siano responsabili di attuare lo spirito di Fratellanza e la Cultura del Dialogo auspicato nella Dichiarazione di Abu Dhabi.

Pace, Salam.


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UNA FRATELLANZA PER LA CONOSCENZA E LA COOPERAZIONE

Il Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune, sottoscritto dal Pontefice della Chiesa Cattolica Francesco e dallo Shaykh Ahmed al- Tayyeb, imam della Moschea Al-Azhar, unitamente al viaggio del Pontefice negli Emirati Arabi Uniti, costituisce un evento senza precedenti, a livello istituzionale, nella storia delle relazioni tra Cristiani e Musulmani.

L’impressione generale è che si stia aprendo, sotto diversi aspetti, una nuova fase dei rapporti tra le due religioni. Tale fase sembra andare nella direzione del riconoscimento della legittimità e provvidenzialità della diversità delle Rivelazioni, delle teologie, dei culti, dei linguaggi e delle comunità religiose. Le diversità non sono più viste come un motivo di conquista o di proselitismo, o come pretesto per una semplice facciata di tolleranza, ma sono piuttosto riconosciute come uno spazio per l’esercizio e la pratica della fratellanza che rappresenta «una vocazione contenuta nel disegno creatore di Dio», come afferma lo stesso Documento[1].

«Dio è all’origine dell’unica famiglia umana», ha detto in quest’occasione il Pontefice, e dal rispetto della pluralità religiosa è necessario che scaturisca il «riconoscimento dell’altro», un riconoscimento che non sia «né un’uniformità forzata né un sincretismo conciliante»; ma che sia basato piuttosto sulla necessità di «purificare il cuore dal ripiegarsi su se stesso», un monito contro la velleità di affermare il proprio gruppo contro o al posto di un altro. È significativo che tutto questo avvenga esattamente a 800 anni dal viaggio di San Francesco d’Assisi in Egitto e dal suo incontro con il Sultano Ayyubi al-Malik al-Kamil. È auspicabile che gli eventi del 1986 ad Assisi – la preghiera comune per la Pace – e del 2019 ad Abu Dhabi – la convergenza sul valore della fratellanza umana – possano essere considerati due pietre angolari di cui d’ora in poi non si possa fare a meno nel dialogo interreligioso in generale e islamo-cristiano in particolare.

Un importante versetto della Rivelazione Coranica, che guida i Musulmani nelle relazioni tra le Rivelazioni e i credenti, afferma:

E a te Noi abbiamo rivelato la Scrittura secondo verità, a conferma delle Scritture precedenti e a loro protezione. Giudica dunque tra loro secondo ciò che Allah ha rivelato, e non seguire i loro desideri a discapito della verità che ti è giunta. A ognuno di voi abbiamo assegnato una regola e una via, mentre se Iddio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una comunità unica, ma ciò non ha fatto per provarvi in quel che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle opere buone, che a Dio tutti tornerete, e allora Egli vi informerà di quelle cose per le quali ora avete divergenze. [2]

Questo versetto coranico sembra quasi riecheggiare nel contenuto della missiva che Papa Gregorio VII indirizzò nel 1074 all’Emiro Hammadi an-Nasir, il quale regnava a Bejaïa, nell’attuale Algeria:
Dio Onnipotente, che desidera che tutti gli uomini si salvino e nessuno si perda, apprezza in noi soprattutto il fatto che, dopo avere amato Lui, amiamo nostro fratello, e che quello che non vogliamo sia fatto a noi non lo facciamo agli altri. Voi e noi ci dobbiamo questa carità reciprocamente, soprattutto perché crediamo e confessiamo l’unico Dio, ammesso nei diversi modi, e Lo lodiamo e veneriamo ogni giorno,come Creatore e Governatore di questo mondo.

Oltre ai fondamenti dottrinali, vediamo anche l’importante funzione di documenti e dichiarazioni più recenti che costituiscono la storia del dialogo islamo-cristiano negli ultimi sessanta anni, e che hanno condotto all’incontro di Abu Dhabi e al relativo Documento sulla Fratellanza Umana. Soprattutto, i documenti costituivi del Concilio Vaticano II, conclusosi nel 1965, e in particolare Nostra Aetate, hanno segnato un momento cruciale di apertura verso il dialogo con le altre religioni, verso la fratellanza tra le fedi e l’abbandono del missionarismo inteso come un proselitismo autoritario e aggressivo. Nel 1985 il Papa Giovanni Paolo II, nell’occasione di un incontro con i giovani a Casablanca, in Marocco, a proposito delle nostre differenze dichiarò che «ciò è un Mistero sul quale Dio ci illuminerà un giorno, ne sono certo»; tale riconoscimento del mistero provvidenziale delle differenze religiose fu d’ispirazione per l’incontro di Assisi dell’anno seguente, dove i rappresentanti delle religioni da ogni parte del mondo si riunirono per pregare per la pace. Da allora, iniziò a emergere l’idea che il concetto cristiano di Dio, nella sua essenza più profonda, non sia sostanzialmente contrario a quello islamico, nonostante sia presentato in modi formalmente diversi.

La verità resta che, nonostante tali differenze, i successori di Abramo continuano a rivolgersi verso l’Unico Dio, nella sottomissione al quale sono uniti, pur restando necessariamente distinti gli uni dagli altri a livello formale. D’altro lato, i primi anni duemila sono stati forse più complessi, con le dichiarazioni di Papa Benedetto XVI in occasione della lezione a Regensburg nel 2006, cosa che tuttavia mosse 138 sapienti musulmani a scrivere e proporre il documento A Common Word[3], cui fece seguito l’istituzione del Forum Cattolico-Musulmano che iniziò a riflettere sul duplice comandamento dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo come parola comune capace di illuminare le relazioni tra i credenti cristiani e musulmani.

Il Re Abdullah del Regno dell’Arabia Saudita aveva promosso l’iniziativa per il dialogo interreligioso e interculturale. A questo annuncio fece seguito un incontro nel 2007 con Papa Benedetto e la costituzione del KAICIID nel 2012. Questo Centro mette in collegamento i leader delle Istituzioni religiose con i policy makers per una collaborazione e un confronto globale sulle sfide che interessano tutti i cittadini di ogni Nazione.

Il Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune si inserisce in questo lignaggio, ed è tra l’altro il secondo documento ufficiale che Papa Francesco sottoscrive insieme a un altro leader religioso, dopo la dichiarazione sottoscritta con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo a Cuba nel 2016. Già diversi sono stati i commenti e gli apprezzamenti per l’evento di Abu Dhabi e per il Documento letto e sottoscritto in tale occasione; vi sono state tuttavia anche opposizioni da parte dei soliti letteralisti ed esclusivisti, purtroppo presenti da entrambe le parti. Tra le risposte positive e costruttive, citiamo come esempio il commento fatto dal network di sapienti musulmani europei EULEMA, e, in ambito cattolico, l’interessante commento apparso sulla rivista cattolica Aleteia[4]. Desideriamo dare seguito a queste espressioni, cogliendole come spunto per formulare alcune riflessioni sui temi messi in luce dal Documento.

Il dialogo interreligioso è raccomandato dal Corano in vista di praticarlo “nel migliore dei modi”, ed oggi ciò è di vitale importanza per almeno tre motivi. Innanzi tutto, il mondo moderno si è formato non solo a margine dei valori religiosi ma effettivamente in opposizione alla religione in quanto tale. Risulta quindi importante cambiare la prospettiva della modernità riguardo alle religioni. In secondo luogo, le religioni affrontano oggi una sfida comune – nientemeno che la fine della umana civiltà nel senso in cui l’abbiamo sempre intesa. I credenti devono contribuire alla ricerca comune di una nuova civiltà. Terzo, la nostra epoca è dominata da ingiustizie, oppressioni, xenofobia, dal declino della democrazia in tutto il mondo e dalla crescita di ogni sorta di estremismo ideologico. Queste forze possono essere combattute solamente sul terreno della solidarietà – non soltanto fra le religioni, ma tra tutte le comunità umane.

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Dal nostro punto di vista ci sono tre tipi di dialogo tra le fedi: uno di convenienza, uno di realtà e uno di principio. Il dialogo di convenienza mira ad evitare tutti i punti controversi, mettendo in atto un approccio falso, vago e orizzontale che abolisce le dottrine, i simboli e i mezzi di grazia; per riconciliare i due avversari, esso li soffoca entrambi, e questo è di sicuro il mezzo più veloce per raggiungere una falsa pace barattata con la verità. Che sia ispirato da una filosofica indifferenza, o da un universalismo relativista, il tratto caratteristico è la dissoluzione dei valori. Si tratta di un falso dialogo, poiché invece di riconoscere e sostenere le religioni e i loro fondamenti sacri, si risolve nel promuovere una concezione dei diritti umani “a buon mercato”, promuovendo soprattutto, in luogo della spiritualità, il “diritto all’indifferenza”.

Per le persone sensibili alla spiritualità e alla contemplazione, sostenersi l’un l’altro in termini esclusivamente materiali o sentimentali non rappresenta né un vero sostegno né una vera fratellanza. Agli attori di un tale tipo di dialogo indirizziamo la seguente domanda: siamo sicuri di conoscere veramente qual è la natura del Bene che desideriamo, prima di cercarlo per noi stessi e poi di imporlo agli altri?[5] Il Documento sulla Fratellanza Umana certamente non propone questo tipo di dialogo.
Un secondo tipo di dialogo è quello che potremmo chiamare “di fatto” o “di realtà”: esso consiste nell’intesa dei religiosi e delle istituzioni che li rappresentano sulla base della comune accettazione di alcuni valori morali e concetti metafisici, nella consapevolezza di dover fronteggiare un comune pericolo di secolarizzazione.

È questo il genere di dialogo interreligioso su cui il Documento maggiormente si concentra: «Il dialogo tra i credenti significa incontrarsi nell’enorme spazio dei valori spirituali, umani e sociali comuni, e investire ciò nella diffusione delle più alte virtù morali, sollecitate dalla religioni»[6]. La giustizia, il bene, la bellezza, la fratellanza e la pace a livello sociale sono per tutti “ancore di salvezza”, ma non si sostituiscono di certo alla salvezza dell’anima, così come i mezzi non si sostituiscono al fine. Si tratta, dantescamente, di creare le condizioni di una pace condivisa e indispensabile, affinché sia possibile per tutti vivere una vita volta alla ricerca di Dio, fine ultimo e più alto cui l’umanità possa aspirare. Questo tipo di dialogo rappresenta una tappa necessaria verso il terzo tipo di dialogo, che ci sembra quello maggiormente auspicabile.

L’ultimo tipo di dialogo possiamo chiamarlo di “principio”, o anche “dialogo al vertice”, e consiste nel riconoscere l’azione della Conoscenza che scopre l’unica Verità al di là del velo e della molteplicità delle forme. San Basilio, commentando l’incipit del Vangelo di San Giovanni, esclamava: «Non dimenticare “In Principio”! Il culmine del Principio non può essere compreso, mentre ciò che sia al di fuori del Principio non può essere trovato»[7]. Per raggiungere questo obiettivo, quello che consideriamo essere del maggior valore, sembra esserci ancora molta strada da percorrere.

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In secondo luogo, oltre alla Conoscenza, è importante considerare la Fratellanza, che dà il titolo al documento e che dovrebbe essere considerata, tanto dai credenti quanto dall’umanità in generale, come un valore ontologico da ricordare, riscoprire e praticare. Riguardo a questo, desideriamo portare l’attenzione su alcuni insegnamenti della Tradizione Islamica riguardanti la fratellanza nei suoi due aspetti fondamentali. Prima di tutto, gli uomini sono fratelli tra loro perché attestano ontologicamente la signoria divina, come afferma il Corano:

E quanto il tuo Signore afferrò dai lombi dei figli di Adamo tutti i loro discendenti e li fece testimoniare su loro stessi “Non sono forse Io il vostro Signore?” Dissero “Certo, lo testimoniamo!”, questo affinché nel giorno della Resurrezione non diciate “Eravamo incoscienti di ciò”[8].

Inoltre, la fratellanza si esprime in diversi gradi a seconda della famiglia spirituale di appartenenza. Una tradizione del Profeta dell’Islam Muhammad dice:

«I Profeti sono come fratelli figli di uno stesso padre e di madri differenti»[9].

I credenti e le comunità che si ricollegano ai loro Profeti sono dunque chiamati a vivere questa fratellanza, una fratellanza che è sì umana, ma soprattutto profetica, nel senso della generazione spirituale che li accomuna e li rende fratelli. Questo secondo livello della fratellanza è come una specificazione del primo: ci sono diverse famiglie spirituali che compongono l’umanità ed esse sono legate da un rapporto di fratellanza sia al loro interno, tra i componenti di ogni specifica comunità, sia reciprocamente, tra di esse. Queste connessioni operano su piani distinti, tuttavia esse discendono tutte da una comune e singola origine. Questi due diversi livelli di fratellanza dovrebbero distinguersi e tuttavia ordinarsi e armonizzarsi l’uno con l’altro senza confusione.

Questa fratellanza, valore prezioso per tutte le religioni, deve potersi realizzare a vari livelli. Il Documento ne sviluppa alcuni tra i più importanti, tra cui la dignità della vita umana (uomini e donne, bambini e anziani); la famiglia, la giustizia basata sulla misericordia, la libertà della persona; la libertà di culto, la protezione dei luoghi sacri e dei luoghi di culto, la condanna del fondamentalismo pseudo-religioso; la cultura del dialogo e della tolleranza, la cittadinanza degna, la protezione e il riconoscimento delle minoranze, le relazioni e la conoscenza tra Oriente e Occidente.

La convergenza di Oriente e Occidente – “l’abbraccio”, com’è definita nel Documento – fondata sulla «cultura del dialogo»[10] e sulla «conoscenza reciproca»[11] rappresenta, nei tempi escatologici in cui viviamo, una vera e propria necessità e un segno della Misericordia di Dio. Affermando che «L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo»[12], il Documento dimostra grande lungimiranza riguardo alle potenzialità del dialogo interreligioso. La forma di dialogo che esso propone non è quella delle buone intenzioni, bensì di un dialogo nella fede in Dio, un dialogo che rifletta il riconoscimento dei principi metafisici, un dialogo che, senza compromessi dottrinali, permetta alla trasparenza della Realtà divina di emergere.
Un siffatto dialogo permette agli uomini delle diverse Rivelazioni date loro da Dio, di ritrovarsi nella pace e riconoscersi nella comune origine.[13]

Ci sovvengono le parole dello Shaykh Abd al-Wahid Pallavicini, rappresentante dell’Islam all’incontro promosso da Papa Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986:

Questo sarà il vero ecumenismo al vertice, l’unico che può tendere a una vera pace, quella pace che non deriva solo dalla giustizia e non è a qualsiasi costo, ma è fondata su una giustizia superiore che può venire solo dal mutuo riconoscimento della validità spirituale delle nostre differenti fedi, di quella Tradizione abramica alla quale noi tutti partecipiamo[14].

Il Documento afferma ripetutamente la centralità della fede:

Attestiamo anche l’importanza del risveglio del senso religioso e della necessità di rianimarlo nei cuori delle nuove generazioni [...]. Il primo e più importante obiettivo delle religioni è quello di credere in Dio, di onorarLo e di chiamare tutti gli uomini a credere che questo universo dipende da Dio che lo governa, è il Creatore che ci ha plasmati con la Sua Sapienza divina e ci ha concesso il dono della vita per custodirlo.[15]

In questo caso, il Documento si fa carico del pericolo di «una coscienza umana anestetizzata e dell’allontanamento dai valori religiosi», nonché del pericolo di un «predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti»[16]. La fede, però, non è completa se non si riflette in una pratica religiosa vissuta capace di trasformare i cuori. Se è vero che non deve esservi costrizione nella religione, è altresì vero che, se si prescinde dai riti e dalla loro protezione, si finisce per secolarizzare la religione stessa[17].

La tutela delle minoranze religiose e dei luoghi di culto diviene necessaria conseguenza nel sostegno reciproco all’adorazione del Dio unico:

«La protezione dei luoghi di culto – sinagoghe, chiese e moschee – è un dovere garantito dalle religioni, dai valori umani, dalle leggi e dalle convenzioni internazionali».[18] I centri spirituali, che ricordano il centro spirituale primordiale, rappresentano la Gerusalemme terrestre dalla quale elevarsi per giungere alla Gerusalemme celeste, secondo le parole del Cristo: «La Pace che io vi do non è quella di questo mondo»[19].

Il testo di uno dei patti sanciti tra il Profeta Muhammad e i cristiani dice a tal proposito:
Se i Cristiani si avvicinano cercando l’aiuto e l’assistenza dei musulmani al fine di riparare le loro chiese e i loro conventi, o per sistemare questioni concernenti i loro affari e la loro religione, questi debbono aiutarli e sostenerli. In ogni caso essi devono fare ciò con lo scopo di riceverne alcun compenso od obbligo. Al contrario, essi dovranno farlo per restaurare la religione, per fedeltà al patto del Messaggero di Dio, per pura donazione, e come atto meritorio dinnanzi a Dio e al suo Messaggero[20].
La via da percorrere insieme è quella della «giustizia basata sulla misericordia»[21]. E con «basata sulla misericordia» non vogliamo intendere una giustizia lassista, permissiva e senza regole, ma piuttosto una possibilità di esorcizzare il formalismo inquisitorio e la concentrazione ossessiva sulle specificità da contrapporre, che possono invece distogliere dall’unica concentrazione realmente fondamentale – la concentrazione su Dio.

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Al di là della nostra reazione in generale positiva sul Documento, ci sembra altrettanto importante fare alcune riflessioni di prudenza, nella forma di una messa in guardia da un pericolo latente – per il quale non è necessario incolpare nessuno, fuorché l’ignoranza – ovvero che i valori menzionati dal Documento e richiamati in questo commento vengano interpretati o praticati in una misura parziale o eccessiva, al di fuori del fine per il quale sono stati costituiti dal Creatore. La fratellanza, la misericordia e la spiritualità non dovrebbero essere intese o praticate esclusivamente in forma sentimentale ed emotiva. È questo un rischio sempre latente quando si intraprende con entusiasmo la via della conoscenza e dell’amore. Non è affatto questione di denigrare o eliminare i buoni sentimenti o le sane emozioni, ma semplicemente si tratta di non dimenticare lo scopo fondamentale che essi hanno, ovvero quello di sciogliere la durezza dei cuori in vista della scoperta di gradi più elevati e profondi dell’unità in Dio.

Ritorniamo a riflettere un istante sul tema principale del testo, la fratellanza. È necessario intendersi bene su cosa si intende con questo valore per evitare fraintendimenti o manipolazioni. La fratellanza nella diversità è il fulcro dello scritto, ma sussiste il rischio di una interpretazione troppo sociologica o psicologica.

In tal caso, si finirebbe per interpretare la fratellanza religiosa in una forma soltanto umana, “troppo umana”, nella quale si arriverebbe a venerare l’uomo in quanto tale, adorandolo al posto di Dio, pur continuando a utilizzare la parola “Dio” come mera formalità, una parola senza più riferimento a una Realtà che aspiriamo a conoscere. Il rispetto delle differenze non dovrebbe diventare l’alibi per l’adorazione del particolare e del fenomeno di per se stesso, dove la contingenza prenda il posto dell’Eterno. D’altro canto, intendere la fratellanza in un senso vago e generale, in assenza di principii teologici chiari, porterebbe a una insipida indifferenza.

Il significato “generale” di “fratellanza umana” e lo “specifico” significato teologico non dovrebbero essere confusi o essere messi in competizione l’uno con l’altro: perdendo le specificità si arriva al qualunquismo vuoto, perdendo il generale si arriva all’idolatria del fenomeno più insignificante[22]. Nel dire questo, vogliamo esprimere la nostra distanza rispetto alcune delle critiche sollevate al documento sulla questione della fratellanza, avanzate sia da musulmani sia da cristiani. Per queste, la fratellanza vera sussisterebbe soltanto tra i membri della stessa comunità religiosa, mentre quella tra Musulmani e Cristiani sarebbe teologicamente infondata.

È invece fondamentale ricordare che la fratellanza “generale” tra esseri umani si fonda su un insegnamento inerente sia alla rivelazione islamica sia a quella cristiana; questo livello di fratellanza non annulla in nessun modo la fratellanza specifica, ma ne è piuttosto una conseguenza. Essere “fratelli in Cristo” o “compagni al Profeta” non implica che ci debba essere ostilità tra fratelli e compagni; anzi, si potrebbe essere maggiormente fedeli ai rispettivi Maestri spirituali se si riuscisse a concepire la ricchezza delle forme che hanno ritrasmesso come dei mezzi per gareggiare nelle buone opere.

In tal modo potremmo realizzare una comprensione più profonda di quella Verità Assoluta, Metafisica e Unica che si fonda sul riconoscimento di una comune prospettiva metafisica e tensione interiore propria alle forme tradizionali tramite cui la Verità si manifesta, una tensione che non prevede alcun relativismo culturale ma una misteriosa e pienamente benedetta partecipazione spirituale di ogni credente fedele alla sua specifica “grammatica religiosa” tramite la quale la Volontà e la Misericordia di Dio trasmettono i Suoi segni intelligibili in una sacra comunicazione.

Tale mistero diventa ancor più inestimabile quando ogni credente riesce a rispettare anche nel fratello di altra cultura e religione la piena dignità di una fedeltà alla sua differente e provvidenziale “grammatica” e riconosce in questo “pluralismo” i segni di una straordinaria Volontà e Misericordia del Dio Unico, abbandonando così ogni pretesa di esclusivismo apologetico e ripudiando l’arrogante misconoscimento di un’altra fede rivelata da Dio.

In effetti, non si tratta di intendere il pluralismo religioso come la legittimazione di una “confusione delle lingue” come quella sopraggiunta dopo la presunzione della torre di Babele, ma piuttosto di rispettare le differenze tra le lingue, i simboli, i riti, le dottrine e i dogmi e nello stesso tempo riconoscere anche un linguaggio comune e superiore tra i credenti, sul quale basare un più profondo rispetto e collaborazione tra fratelli nella contemplazione delle infinite articolazioni e declinazioni dell’espressione divina. Una più profonda comprensione di questo linguaggio superiore potrebbe condurre a un dialogo votato alla comprensione del Suo Monologo, ristabilendo la purezza dell’Intelletto nella semplicità della vita e nella complessità della storia.

Riteniamo altresì fondamentale non rinunciare all’oggettività, alla profondità, al discernimento e persino alla conoscenza in nome della fratellanza, che sia ora, agli inizi di questo grande dialogo fraterno, o in qualunque sua futura fase di sviluppo. Fratellanza non significa rinunciare al bene e al vero (che significherebbe compromettere il Principio), bensì imparare a collocare ogni cosa, compresa l’umanità, al giusto posto che compete a ciascuna.

Per riconoscere questa dinamica per cui ogni cosa si integra armoniosamente nell’Unità senza fare dell’Unità il prodotto della propria fantasia personale, è fondamentale saper prescindere dai condizionamenti di parte (apologetici, teologici o culturali) rispetto alle dottrine e ai simboli, alla storia e agli eventi attuali, belli o brutti che siano.

♢ ♢ ♢

A seguito di queste brevi riflessioni critiche, che ci è parso doveroso condividere vista l’importanza storica dell’incontro tra il Papa cattolico e l’Imam di Al-Azhar, e del Documento che ne è scaturito, desideriamo esprimere il nostro grande senso di soddisfazione per il traguardo che questa occasione rappresenta, e auspichiamo che questo possa essere un punto di partenza (e anche un punto di non ritorno) che ci sproni a dedicarci veramente, da uomini, da fratelli e da religiosi, alla scoperta e alla pratica di questi tesori di conoscenza spirituale e metafisica, di cui le Tradizioni religiose ancora mantengono la custodia.

Preghiamo affinché il Documento sulla Fratellanza Umana sia un aiuto concreto per rafforzare l’unità sia all’interno di ogni comunità religiosa sia nello scambio intellettuale fra esse, in un confronto fruttuoso fra le diverse posizioni. Esprimiamo la speranza che, tramite esso, la comunità islamica mondiale possa ritrovare un rinnovato slancio e ispirazione per un dialogo interno, facendo ancora una volta della sua naturale “unità nella diversità” un valore condivisibile anche all’esterno.
La Tradizione islamica è ricca nella diversità, ivi comprese le diverse scuole giuridiche e teologiche, ed è importante che si crei uno spazio accogliente e fraterno affinché ogni gruppo possa partecipare a questo dialogo e fratellanza. Nell’ambito dell’Islam, ciò significa anche l’incontro e la comprensione sia dell’Islam Sunnita sia di quello Sciita; quest’ultimo è stato storicamente poco rappresentato ma ha molto da offrire nel dialogo religioso globale.

Un appello alla fratellanza umana e all’abbandono dei settarismi è particolarmente importante in un contesto di inasprimento delle violenze settarie e delle discriminazioni in ogni parte del mondo, che coinvolgono anche la comunità islamica a livello globale. Preghiamo affinché pratiche come la violenza scomunicatoria (takfirismo) si esauriscano, e affinché prenda forma una unità inclusiva tra i musulmani, che poggi su successi significativi come il Messaggio di Amman che ha affermato un riconoscimento intra-religioso fra diverse scuole dell’Islam.

Ci auguriamo che da questo sforzo comune per una rinnovata circolazione di idee e sensibilità all’interno del mondo islamico, possano scaturire azioni concrete, sia come proseguimento di quelle già avviate in passato, sia anche nuove, nella prospettiva di ampliare sempre di più la piattaforma di rappresentanti religiosi direttamente coinvolti e la loro capacità di azione. Nella maturità di questa nuova tappa del dialogo Islamo-Cristiano, sarà altrettanto importante accettare, insieme ai punti comuni, anche le asimmetrie che possono emergere da un punto di vista sia formale sia dottrinale, in modo che si possano accettare le espressioni teologiche di un’altra religione senza giudicarle sulla base delle proprie, nella misura in cui si rispettino le rispettive giurisdizioni specifiche. È necessario per tutti noi coltivare il rispetto reciproco fra le diverse comunità che proclamano Dio come l’Unico, aiutandoci gli uni con gli altri a ricordare che il nostro scopo comune è quello di onorare il nome del Signore, specialmente nei tempi difficili che la nostra umanità sta attraversando.

Proprio per il compimento di questo traguardo, nel prosieguo delle relazioni interreligiose e del dialogo islamo-cristiano ci sembra importante e opportuno dare più spazio ad alcuni attori che ne potrebbero essere davvero i protagonisti: gli ordini contemplativi, ovvero gli ordini monastici cristiani e gli ordini sufi nell’Islam, coloro che custodiscono e coltivano, in forme e gradi pur differenti, la contemplazione di Dio, e in questa prospettiva si chiamano “fratelli” fra di loro.

Non è casuale che l’incontro tra San Francesco e il Sultano, il cui esempio dà ancora oggi frutti positivi in Oriente e in Occidente, sia avvenuto proprio nell’epoca in cui sorgevano, fiorivano e si rinnovavano questi ordini religiosi. Da una parte, i Francescani (1209), i Domenicani (1216), gli Eremitani di Sant’Agostino ed i Carmelitani, e dall’altra, la Qadiriyya, la Rifa’iyya, la Suhrawardiyya, e poco dopo, la Chishtiyyah e la Shadiliyya[23].

Quale vera intesa al vertice ci può mai essere se non ci si orienta verso l’Eterno, elevandosi dalle contingenze temporali verso il Volto di Dio? Gli ordini contemplativi sono stati in passato fondamentali baluardi dell’ortodossia e della spiritualità, sia nel Cristianesimo (cattolico e ortodosso) sia nell’Islam (sunnita e sciita), e nulla vieta che possano di nuovo svolgere questo ruolo, facendo anche da mediazione tra i credenti e le comunità religiose per una vera intesa – evitando fermamente ogni ombra di sincretismo – nell’attesa dello svelamento escatologico che metterà a nudo il nostro dramma umano, la cui natura e realizzazione permane nel mistero della Divina Volontà.


  1. Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune. ↩︎

  2. Corano, V:48. ↩︎

  3. A Common word between us and you - Una parola comune tra noi e voi (2007), firmata da 138 sapienti musulmani e indirizzata a tutti i leader religiosi cristiani. Suoi precedenti erano stati il Messaggio di Amman (2004) e la Lettera aperta dei 38 saggi musulmani indirizzata direttamente a Benedetto XVI. ↩︎

  4. Giovanni Marcotullio, Se Gesù è l’unico salvatore, come può Dio aver voluto le religioni? (https://it.aleteia. org/2019/02/11/documento-papa-francesco-al-tayyib-pluralismo). ↩︎

  5. «Nessuno è credente fino a che non desidera per il fratello quanto desidera per se stesso», insegna il Profeta Muhammad, e «Ama il prossimo tuo come te stesso», insegna il Cristo. ↩︎

  6. Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune. ↩︎

  7. San Basilio, Omel<^i]:e XX, 1. ↩︎

  8. Corano, VII:173. ↩︎

  9. Tradizione profetica (hadith) riportata da Muslim. ↩︎

  10. Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune. ↩︎

  11. Ibidem. ↩︎

  12. Ibidem. ↩︎

  13. Il Sacro Corano chiama Dio «il Signore dell’Oriente e dell’Occidente» (Corano, LXXIII:9). ↩︎

  14. Abd al-Wahid Pallavicini, L’Islam interiore, Il Saggiatore, Milano 2002, p. 91. ↩︎

  15. Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune. ↩︎

  16. Ibidem. ↩︎

  17. I Padri della Chiesa insegnavano che «il Verbo di Dio si è fatto uomo affinché noi fossimo deificati» (Sant’Atanasio di Alessandria, Trattato sull’Incarnazione, n. 54) e che «se Dio si è fatto uomo è perché l’uomo si faccia Dio» (Sant’Agostino d’Ippona, Discorso 371,1). ↩︎

  18. Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune. ↩︎

  19. Vangelo di San Giovanni 14, 27. ↩︎

  20. J. A. Morrow, I Patti del Profeta Muhammad con i cristiani del mondo, New York 2017, p. 333. ↩︎

  21. Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune. ↩︎

  22. In questo senso il Documento specifica: «È importante prestare attenzione alle differenze religiose, culturali e storiche che sono una componente essenziale nella formazione della personalità, della cultura e della civiltà orientale». ↩︎

  23. Questa correlazione è ai nostri occhi pienamente legittima, e un suo modello ante litteram può considerarsi la pro- fonda e misteriosa relazione di scambio e insegnamento che legò un santo khorasaniano molto venerato, Ibrahim ibn Adham, e un monaco cristiano di nome Simeone, tutto ciò a metà dell’VIII secolo d.C. ↩︎